Repubblica di oggi
operazione che ha arricchito entrambi grazie alla successiva cessione delle rispettive quote in Fastweb: si stima che Micheli abbia guadagnato 650 milioni e Scaglia almeno 800 milioni di euro, vendendo agli svizzeri di Swisscom. Ma dopo l´idillio iniziale sono cominciati i dissapori, che riguardavano principalmente la gestione della società, e che ora sono state messe nere su bianco da Micheli in un interrogatorio dello scorso 27 febbraio davanti al pm Giovanni Di Leo, lo stesso giorno in cui Scaglia entrava a Rebibbia. «Le divergenze strategiche - racconta Micheli agli inquirenti - alle quali faccio riferimento sono essenzialmente operative e di filosofia industriale. Sotto il primo profilo posso ricordare, per esempio, la volontà di Scaglia per l´espansione sul mercato tedesco che riuscii a limitare alla sola Amburgo, con la società Hansenet, che si concluse con una perdita per la società del valore investito».
Successivamente fu comprata da Telecom, a quotazioni assai generose, contribuendo a sanare il bilancio di eBiscom (la holding di Fastweb), che attraversava un periodo, diciamo cosi', "non facile", a livello di disponibilita' finanziarie.
La stoccata finale arriva quando Micheli riconduce tutte le decisioni aziendali a Scaglia data l´organizzazione piramidale di Fastweb. «La decisione ultima su ogni questione risaliva a Scaglia, che non solo era presente in azienda, ma che accentuava su di sé tali poteri. Emanuele Angelidis era l´ad e riferiva direttamente e costantemente a Scaglia».
[Micheli e Scaglia] A unirli era stata l´idea di portare la fibra ottica nelle case dei milanesi con l´aiuto della giunta Albertini
Giunta in cui era city manager Parisi, oggi AD di Fastweb, giunta, in cui ad un certo punto tra Albertini e Parisi sono nate "Polemiche
per l' arrivo dell' auditor" Antonio Franchitti, il commercialista di fiducia del sindaco, ha avuto
un effetto dirompente. La nomina dell' "internal auditor" e' stata letta
non solo come un ridimensionamento del ruolo del city manager Stefano
Parisioperazione che ha arricchito entrambi grazie alla successiva cessione delle rispettive quote in Fastweb: si stima che Micheli abbia guadagnato 650 milioni e Scaglia almeno 800 milioni di euro, vendendo agli svizzeri di Swisscom. Ma dopo l´idillio iniziale sono cominciati i dissapori, che riguardavano principalmente la gestione della società, e che ora sono state messe nere su bianco da Micheli in un interrogatorio dello scorso 27 febbraio davanti al pm Giovanni Di Leo, lo stesso giorno in cui Scaglia entrava a Rebibbia. «Le divergenze strategiche - racconta Micheli agli inquirenti - alle quali faccio riferimento sono essenzialmente operative e di filosofia industriale. Sotto il primo profilo posso ricordare, per esempio, la volontà di Scaglia per l´espansione sul mercato tedesco che riuscii a limitare alla sola Amburgo, con la società Hansenet, che si concluse con una perdita per la società del valore investito».
A sentire Micheli, Scaglia avrebbe voluto investire anche a Berlino e a Colonia. «Sotto il profilo filosofico - continua il finanziere alzando il tiro - non condividevo la tendenza ad annunciare al mercato risultati ed obiettivi di assoluto rilievo - sempre in crescita - che risultava poi estremamente difficile rispettare e che quindi avrebbe potuto esporre gli amministratori al rischio di imbarcarsi in operazioni che ho definito in una recente intervista poco accorte». Il riferimento è agli affari "phuncard" e "traffico telefonico", finite nell´inchiesta per frode fiscale a Roma e che sarebbero servite anche per gonfiare i risultati del gruppo. «Un conto - puntualizza Micheli - è il sano incitamento a raggiungere degli obiettivi, un conto è promettere all´esterno cose che non è realistico mantenere sulla base dei trend economici ed aziendali».
La spregiudicatezza di Scaglia, secondo Micheli, viene fuori nell´operazione "phuncard". «Ricordo al riguardo che avevo suggerito a mio figlio (Carlo, allora presidente del comitato audit interno, ndr) di far chiedere dalla società una serie di pareri, tra cui quello a Guido Rossi e a Piergateano Marchetti, cosa che venne fatta ed emerse in ogni caso che per fare questa operazione, che non rientrava nello statuto della società, era necessario cambiare lo statuto. Era un modo elegante del professor Rossi, secondo me, per dire "non si può fare", e invece fu fatta un´assemblea straordinaria e fu cambiato lo statuto».
Carlo Micheli, figlio di Francesco, se non ricordo male, mi pare che sia rimasto vicepresidente e braccio
destro di Scaglia fino a maggio 2005 quando a novembre credo abbia ceduto l'utimo 10% a
43,2Euro per azione per un incasso, a quanto e' stato scritto, di 330 milioni.La stoccata finale arriva quando Micheli riconduce tutte le decisioni aziendali a Scaglia data l´organizzazione piramidale di Fastweb. «La decisione ultima su ogni questione risaliva a Scaglia, che non solo era presente in azienda, ma che accentuava su di sé tali poteri. Emanuele Angelidis era l´ad e riferiva direttamente e costantemente a Scaglia».
Senza entrate nell'argomento,come sempre è facile parlare a posteriori; quando ci sono "divergenze" dovrebbero essere affrontate al momento in cui sorgono, sarebbe stato più corretto anche per gli altri azionisti soprattutto i piccoli che nulla sanno di queste cose; a fare la morale anni dopo sono capaci tutti
Scritto da: Luca | 31/03/2010 a 12:06