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21/08/2011

Commenti

Luigi Rosa

Sono stato abbonato per 20 anni a Newsweek (prima ero stato abbonato per pochi anni a Time), ma lo scorso anno non ho rinnovato perche' era diventato via via meno interessante e imitava sempre piu' il web, anche come grafica. Mi dispiace solo per gli articoli di Fareed Zakaria.

Se trovassi online una pubblicazione analoga a Newsweek (ampio respiro, bravi giornalisti, niente immondizia tipo le colonne di destra di Corsera e Repubblica online) mi abbonerei subito, posto che i contenuti son siano riservati ai device Apple o abbiano limitazioni analoghe e che il prezzo sia onesto (no, non accetto di pagare lo stesso prezzo dell'edizione cartacea, non raccontatemi le solite balle sui costi uguali).

La tua analisi, Stefano, non fa una grinza. Secondo me il problema e' anche dovuto alla ad una sorta profezia auto-avverante secondo cui sul web non si guadagna e non vale la pena offrire contenuti di qualita'. I creatori di contenuti credono a questa valutazione e, quindi, ci ritroviamo con Repubblica e Corsera online illeggibili e uguali al Sun (il cui sito visto ogni tanto perche' e' divertente).

Giovanni Bajo

Molto interessante. L'IVA diversa è praticamente un'assurdità, non conoscevo questo aspetto.

Riguardo all'iPad, nota che Apple ha modificato i termini e ora è possibile applicare prezzi diversi tra App Store e altri canali di vendita online. Rimane però il vincolo di non pubblicare assolutamente nessun link né nessun riferimento a questi canali di vendita da dentro l'applicazione.

Marco Cremonini

Stefano,
permettimi una critica a una tua osservazione specifica e un commento generale.

Il punto specifico.
Tu dici: "Per "informazioni", intendo quelle tipiche dei "giornali di servizio". Il Sole, ad esempio, con il direttore Napoletano, ha riconquistato la sua caratterizzazione di giornale di servizio: uno strumento che fornisce informazioni utili ai lettori per destreggiarsi in diversi ambiti (finanza e mercati, casa, lavoro, ecc)

Le notizie, sono sempre più una commodity. Viviamo immerse nelle notizie che riceviamo più e più volte alla TV, alla radio, in metropolitana, cone le free press, con i giornali, ... online."

La mia critica.
Questo punto credo richieda un approfondimento maggiore perché è fondamentale, a mio parere. Non è vero che le informazioni sono sempre più una commodity, questa è una generalizzazione fuorviante.
Le "informazioni-commodity" sono sempre più una commodity, ovvero lo sono quelle (non molte) informazioni che vengono diffuse, replicate, ribattute da una moltitudine di organi di informazione in forma sostanzialmente analoga.
Queste sono solo una parte, piccola a mio parere, delle informazioni utili/interessanti, soprattutto prendendo in considerazione un pubblico che è sia propenso a leggere informazioni su carta sia informazioni online.
La maggior parte delle informazioni sfugge e quindi non solo non sono commodity ma diventano sempre più difficili da reperire, visto il trend progressivo da molti anni verso la polarizzazione delle informazioni che vengono pubblicate dai giornali.
Ci sono parecchie analisi su questo fenomeno, inglesi e americane, ad esempio riguardante la sempre minore attenzione verso la stampa e le notizie internazionali e il focus sempre maggiore verso notizie locali e domestiche (ad esempio: http://mediastandardstrust.org/publications/shrinking-world-the-decline-of-international-reporting-in-the-british-press/).

Piccola nota di colore.
Per l'Economist io penso che ormai l'anonimità degli articoli sia più un vezzo che un fatto di sostanza, considerando anche che gli editorialisti di punta scrivono sotto pseudonimo (Bagehot, Buttonwood etc.) ma se ne conosce l'identità.

Considerazione generale.
Nella tua analisi manca un aspetto: la qualità di ciò che si pubblica rispetto ai concorrenti e rispetto agli interessi del pubblico.
Per questo ti rigiro la domanda: non è che pubblicare online significa entrare in un ambito estremamente più vasto, più complesso ma per questo più ricco, tanto che il tuo potenziale lettore ha a disposizione molte fonti informative, gratuite, per le informazioni-commodity, sulle quali sempre meno i giornali si distinguono (o si distinguono per macro aree ad esempio di orientamento politico); e soprattutto molte più fonti informative per le informazioni-non-commodity, siano esse tali per oggetto o livello di analisi?
Se questa ipotesi ha un senso, allora anche il pubblico si orienta diversamente. Chi cerca solo le informazioni-commodity non ha particolare interesse ne' incentivo a corrispondere un grado di fedeltà e un costo come per il cartaceo. Chi cerca entrambe, viene orientato nel comportamento dalle informazioni-non-commodity, che io riconduco a un concetto di qualità, sia essa nella varietà delle informazioni (quindi maggiore contenuto informativo in senso quantitativo) che nella qualità delle analisi (maggiore informazione qualitativamente).

L'Economist, esempio di successo, non pubblica nessuna informazione-commodity (o quasi) e solo informazioni-non-commodity, sia per varietà che per analisi.
Mesi fa trovai uno studio (purtroppo ora non riesco a ritrovarlo) che mostrava come, a differenza dell'opinione comune che vuole che le persone su Web leggano solo frammenti brevi o notizie estremamente sintetiche saltando velocemente da una all'altra, era stato osservato come i lettori "forti", intendendo quelli che fruivano di molte informazioni, (sono generico perchè ricordo che c'era una categorizzazione basata su vari parametri, ma non ricordo i dettagli) dedicavano gran parte dell'attenzione alle analisi lunghe, agli essay, ai pezzi molto descrittivi e approfonditi.

Ora, mia personalissima opinione (io leggo informazioni, quotidianamente, da diverse fonti, una decina almeno, quasi sempre) è che la stampa italiana sia molto deficitaria su questo fronte. Saltuariamente offre qualità: la varietà delle notizie è scarsa e soprattutto (dal mio punto di vista di lettore) le analisi sono, in media, scadenti. Questo vale per tutti i maggiori quotidiani nazionali (Repubblica, CorSera, La Stampa, Messaggero, Sole).

Quindi torniamo alla faccenda delle informazioni-commodity o non commodity.
Un giornale italiano (escluse riviste di nicchia), io, almeno, lo leggo esclusivamente per le informazioni commodity, per quelle non-commodity il più delle volte mi infurio per la scarsa qualità e saltuariamente mi sorprendo per aver trovato qualcosa di buono.
Ne consegue che se talvolta trovo comodo leggere il giornale cartaceo (io non sono uno di quelli sempre connessi con iPad a seguito), non ho alcun motivo valido per abbonarmi/acquistare un'edizione online avente questi contenuti, zero, se anche decidessero di chiudere l'edizione online di Repubblica o del CorSera, la differenza per me sarebbe sicuramente molto inferiore che se invece decidessero di non renderla più disponibile in edicola.

Quindi, sono d'accordo con te che la risposta debba essere "no", ma per motivi diversi, mi pare.


Stefano Quintarelli

@Luigi: la cosa e' che il rapporto tra contributo della pubblicità e contributo delle vendite è una cosa simile a 4:3 o 2:1.
e' vero che i costi sono inferiori, ma la pubblicità paga MOLTO meno, per cui la quota del costo che deve essere coperta dalle vendite e' persino maggiore.
faccio un esempio ipotetico per chiarire.
supponiamo che il giornale cartaceo costi 70; 40 li mette la pubblicità e 30 chi lo compra in edicola.
se la copia digitale costa 40 ma la pubblicità ci mette solo 10, chi lo compra in edicola (online) lo deve comunque pagare 30...
Ovvero, non devi prendertela con l'editore ma con il mercvato della pubblicita' che, come dicevo, riconosce un valore molto basso all'online, a mio avviso ingiustificatamente.

@Giovanni: si, e' cosi' (semplificavo), ma non cambia l'effetto.

@Marco Cremonini: attenzione: dico che le notizie sono una commodity, non le informazioni. D'altronde non pretendo che sia una verita' assoluta, sto solo dando delle mie definizioni per spiegare con dei colpi di machete le tre principali prospettive diverse (ce ne sono altre, ad esempio il gossip, le foto scandalistiche, ecc.).

riconsidera il tuo commento tenendo bene in mente questa definizione che ho abbozzato: notizie=commodity (e vale cio' che dici). informazioni = non commodity ed e' tutto da inventare, per nicchie. Ad esempio, il commento alle norme per gli esperti di diritto del lavoro sono informazioni ditpiche di una testata di servizio, non una commodity che possono essere re-packaged ed arricchite. Ed infatti lo sono. L'area Professionale del Sole fa molti piu' soldi del quotidiano.

La Qualità dei commenti e delle notizie si trova, ma per nicchie di interesse e a costi maggiori di quelli generalisti (l'esempio sopra, dell'area Professionale, e' uno di questi, ma anche "le firme del Sole" lo sono (in tutta sincerità, io non lo leggevo prima di venire qui, ma penso che le analisi sono le piu' interessanti del panorama editoriale e non banali)).

Last but not least, non sempre ciò che luccica e' qualitativo. la qualita' sta negli occhi di chi legge e se siamo di tendenza esterofili, penseremo che l'erba del vicino sia sempre piu' verde (da qui la serie dei miei post con quel titolo)

Gianmarco Carnovale

La verita' (parolona) e' che il bundle di notizie-commodity e commenti (o opinioni), tipico del quotidiano cartaceo, e' superato dalla velocita' della rete, attraverso la quale vengo raggiunto in mille modi dalle notizie-commodity. E qui ci siamo. A quel punto, poco spazio resta perche' io vada a leggermi i commenti, di cui ero lettore quando compravo il cartaceo, e che del cartaceo costituivano l'elemento di caratterizzazione o differenziazione dai concorrenti. I commenti erano il valore aggiunto rispetto alle commodity, insieme ad una serie di informazioni collaterali che mi erano utili (l'elenco delle farmacie di turno, i film al cinema, il meteo...) o che potevo gradire che mi venissero passivamente sottoposte come stimolo (le mostre d'arte nella mia citta', la recensione di un libro, gli speciali...).

Tralasciando i contenuti e commenti di tipo professionale, di cui - se sono professionista - avro' sempre bisogno, e relativamente ai quali necessitero' di una reliability che non posso trovare facilmente sul web, tutto il resto oggi - le informazioni non-commodity- lo trovo in modo disaccoppiato sulla rete, con una profondita' e completezza ben maggiore di quanto troverei sul quotidiano cartaceo.

Quello che intendo dire e' che la rete ha ucciso il bundle precotto: il mio aggregatore di feed, o l'elenco dei miei bookmarks, e' tagliato sulle mie esigenze personali ben di piu' di quanto non possa fare un giornale. Sia cartaceo che online (per me corriere.it, repubblica.it, messaggero.it sono sostanzialmente interscambiabili, vi leggo solo le notizie "mainstream"). Quello che mi viene a mancare, in questa trasformazione, e' solo la parte di contenuti che mi venivano sottoposti passivamente. Contenuti che non ricerco attivamente, e che quindi non mi raggiungono piu'.

Posso aggiungere che sarei disposto a pagare, tutt'oggi, per un bundle-giornale che mi raggiungesse su ogni supporto che utilizzo, che fosse pero' tagliato sulle mie esigenze e gusti personali (anche con un po' di contenuti "non richiesti").

vittorio pasteris

Stefano: è una analisi condivisibile e splendida.
Ti chiedo un parere su una cosa su cui sto ragionando in questi giorni. Come si evolveranno le dinamiche e i contesti che descrivi nei prossimi mesi di crisi finanziaria, poi recessione e quindi crisi nell'economia reale ?
Abbracci
VP

simo

due parole sulla definizione, che è la cosa più innovativa che ho trovato nel tuo (bellissimo) post:

** Editore è colui che monetizza l'attenzione del cliente. (nel massimo numero di modi e occasioni possibili) **

ora ti chiedo

- addio "Pubblicazione"? un editore non si occuperà di server e domini? per ora c'è un bel pezzo di editoria che se ne occupa :)

- togliendo la "pubblicazione", dove sta la pubblicazione a fini culturali (cioè non remunerativi nell'immediato)?

Luca Giammattei

Complimenti per l'analisi, coincide quasi al millimetro con quella che facemmo anni fa' per un imprenditore che si apprestava a comprare un quotidiano, poi lui non seppe cosa farsene del nostro lavoro ed oggi prova a disfarsi del suo investimento. La nostra idea era che carta, on-line e altro si dovessero integrare in forme e modi diversi, alimentandosi alla stessa fonte (la redazione) ma vivendo vite diverse poi rispetto agli usufruitori e al canale di fruizione scelto. Sembra che problemi di natura sindacale, finanziaria, ecc impedissero (a medio breve) l'evoluzione che suggerivamo che e' la stessa strada sulla quale sembri indirizzarti tu...

Massimo

Stefano, sono preoccupato. Tu sostieni che la pubblicità mantiene il giornale di carta ma stiamo parlando di un canale di promozione che è sempre più vecchio, scarso (per lo spazio) e quindi costoso per raggiungere un target –indifferenziato- che tende a restringersi.
Immagino e temo che gli inserzionisti stiano per passare dalla TV ai social media (es. Facebook e Google) scavalcando quindi i giornali, anche quelli online. Il loro fine, come anticipi tu, è quello di connettersi direttamente con i propri clienti, che già conoscono meglio per via dei “Like” e dei tool di reccomendation.

Concordo sul fatto che le notizie sono commodity, ma sbaglio a pensare che solo le opinioni di qualità e la vera partecipazione dei lettori siano gli unici motivi per catturare la loro attenzione “monetizzabile”?

Stefano Quintarelli

@Gianmarco: ricorda che c'e' sempre gente che compra il pane già tagliato a fette e l'insalata già lavata...

@simo: si occupera' di quello e di molto altro, per monetizzare, ampliera' il range delle cose che fa. Per la pubblicazione a fini culturali ci sono i mecenati (aka gli sponsor) e poi per comportamenti socialmente desiderabili ci dovrebbero essere iniziative collettive (prevalentemente pubbliche)

@Luca: grazie

@Massimo: ti faccio un esempio di progressione
pubblicità tabellare, pubblicita' con misurazione redemption, pubblicità pagata a performance, vendita di prodotti dell'azienda. secondo me Groupon e' un editore di "classifieds" che fa revenue sharing con i suoi clienti. Questo per dire che ci sono tanti modi per catturare l'attenzione.

Gianmarco Carnovale

Stefano, è verissimo, non intendevo dire che gli aggregatori uccideranno l'editore, tant'è vero che anche io pagherei se qualcuno mi risparmiasse il tempo/lavoro che oggi impiego per gestirmi il mio bundle-quotidiano.

Quello a cui intendevo arrivare è la moltiplicazione e customizzazione dell'offerta, o una sofisticazione del concetto di long-tail: l'editore, per monetizzare la mia attenzione, deve sfornarmi il prodotto che comprerei, affiancando alle (mie) notizie-commodity tutte quelle altre informazioni ed approfondimenti che *io* vorrei ricevere. Anche a costo di acquistare alcuni contenuti da terzi (aka altri editori o giornalisti non suoi dipendenti), per rivenderli a me.

Il mio editore deve sfornarmi un prodotto che mi metta insieme le maggiori notizie nazionali ed internazionali, quelle che riguardano la mia città, quelle del giornale di quartiere della mia zona, quelle della mia squadra/sport, quelle della/e mia/e industry prese dai giornali(sti) che ritengo più reliable, insieme ad editoriali ed approfondimenti su temi di mio interesse scritti da giornalisti/bloggers che leggerei (a prescindere se pubblicati su un blog, sul Sole, o su The Economist), etc etc.

Questo, per me, è il futuro dell'editoria.

Arturo

L'integrazione è la soluzione vincente, il resto è una questione di numeri (che banalità!). Sta di fatto che stanca leggere notizie sui giornali che potevi trovare on-line 3/4 giorni prima free; che la scelta tra cartaceo ed on-line è molto intima e personale. Proprio in questi giorni i sottoscrittori (abbonati alla carta) di Linux Journal hanno appreso sulla propria pelle cosa non dovrebbe fare un giornale (roba da ultima spiaggia)... http://www.linuxjournal.com/content/linux-journal-goes-100-digital ...ho lanciato anche un sondaggio http://t.co/ZUv5PRe e comunque ho già un'idea di come andrà a finire soprattutto se non investono il risparmio forzoso in contenuti e qualità. In questo caso si tratta di una rivista che vede una platea di utenti/clienti già specializzata ed avvezza ai mezzi digitali; ma secondo me (IMHO) un quotidiano non potrebbe permettersi uno switch-off cosí radicale; il numero di persone 'analogiche' o le attività 'analogiche', prendere un treno, andare al bagno, ecc. ecc. :-), sono decisamente in maggioranza... no, l'editore deve coccolare i lettori, ottimizzare i costi, ampliare l'offerta.

73,
Arturo

mORA

Nel tuo discorso, manca un dato che secondo me è interessante, ovvero quello dei giornali sovvenzionati (solo) dagli abbonamenti.

Me ne vengono in mente due esempi: Il Fatto Quaotidiano (che ha anche una versione PDF, oltre al cartaceo) e LaVoce.info che è solo online.

Ovvero testate che esistono perché piacciono ai propri lettori, con poca (o nulla) pubblicità, e nessun finanziamento pubblico.

Che ne pensi?

Stefano Quintarelli

@mORA: non mi pare che il Fatto sia diverso dagli altri quotidiani, e' venduto in edicola ed in abbonamento. La voce.info e' un blog di gruppo, certamente un nuovo tipo di editoria dove chi scrive lo fa per passione o per altro interesse, di commento, non remunerato..

Pier Luca Santoro

Stamane ho approfondito la parte del tuo ragionamento reelativamente al settore tradizionale.
Grazie degli spunti forniti.
Saluti
Pier Luca Santoro

Gregorio

Il Fatto però, nella sua versione da edicola, sta in piedi senza contributi statali. Solo lettori paganti e pochissima pub. Viceversa, e non mi pare se ne sia parlato, ci sono tanti giornali distribuiti gratuitamente che evidentemente vivono di sola pub e forse anche di contributi statali.
Questi giornali quotidiani free - come altro chiamarli? - mi trovo a pensare adesso, che in in estate sospendono la pubblicazione per riprenderla poi in concomitanza con dell'apertura delle scuole. Forse in estate non si riesce a fare massa critica?

Stefano Quintarelli

@Gregorio: il fatto, come tutti i giornali, ha le stesse sovvenzioni che ho indicato, tipo Iva assolta dalleditore (4% nominale, meno della metà reale) e altri contributi vari. (sempre poco, come indico, per tutti tranne gli organi di partito)
La free press è esattamente ciò che tu dici, ovvero sostenuta da una sola delle fonti che indico (più pochi contributi). soffrono ovviamente molto di più di altri del rallentamento del mercato pubblicitario. molti hanno già chiuso.

Luca Giammattei

Il punto fondamentale imvho e' che l'on-line o il digitale non e' sostitutivo della tradizionale distribuzione delle informazioni, bensi aggiuntivo. E come tale andrebbe trattato.
Il giornale come media, forma, contenuto ecc e' un qualcosa che si e' strutturato negli ultimi 2/3 secoli, pensare di sostituirlo "tout court" e' stupido come lo e' immaginare uno scenario in cui non esista piu' da qui a 15/20 anni nella forma in cui lo abbiamo conosciuto. E' pero' vero che non si puo immaginare di riproporre "sic et sempliciter" quella forma in nuovi ambiti distributivi, che permettono al cliente e al produttore di aprire nuove forme d'interazione.
Da consumatore non smettero' di comprare il "bundle" (siamo onesti vi sono ancora degli ambiti della nostra vita/attivita' quaotidiana/giornata in cui risulta estremamente comodo). Pero' dall'online vorrei qualcosa di piu' della semplice riproposizione di quanto potrei acquistare in edicola. Cosa? Bhe' il mio "spacciatore" di notizie on line dovrebbe:
- essere documentato in maniera trasparente (ed oggi i link o fonti esterne direttamente consultabili mancano)
- permettermi d'interaggire con se (e non solo la vexata quaestio dei commenti degli utenti o un forum ma partendo da li anche la possibilita' per gli utenti che abbiano ricevuto un certo riconsocimento dalla comunita' intorno al "sistema informativo" d'interagire, in modalita' wiki ad esempio, con la redazione ed i contenuti
- essere un aggregatore (nel senso lato del termine, quindi non solo di feed opportunamente selezionati dalla redazione o suggeriti da me) ma anche piattaforma di socila network, sia in ambito settoriale (per le mia passioni, musica. libri, ecc) sia geografico (la mia citta' o di piu' il mio quartiere) o professionale.

Stefano Quintarelli

@Luca: c'e un fattore di costi importante. io credo che arrivera' un momento in cui i costi di distribuzione fisica dovranno ridursi perchè i volumi non li consentiranno (in larga parte erosi da digitale e riduzione demografica) e questo significa che le edicole più vicine ai centri logistici dei distributori saranno quelle rifornite piu' a lungo e quelle piu' remote saranno le prime a non avere più la distribuzione.
tieni presente che viviamo in sistemi molto ottimizzati ed i margini di manovra sono stretti. non occorre fare perdere il 40% dei ricavi ad una azienda per metterla in crisi. è sufficiente che perda il 5-10% dei margini, quindi magari il 2-4% dei ricavi, per metterla sotto pressione con banche (se non si dispone di liquidità alternativa) e mercati dei capitali.
non discuto sul ruolo e comodità del giornale cartaceo, ma se non e' costante e di massa e ubiquo, la struttura di costi ne soffre. (e c'e' sempre la demografia, i decessi sono il doppio dei nuovi entranti nella maggiore eta'..)
circa le cose che proponi, le condivido. osservo che i sistemi editopriali sono fatti per la carta che e' dominante e difficilmente si adattano all'online. Come esempio prendi questo: in alcuni sistemi editoriali non vi è associazione tra titolo ed occhiello ed il testo dell'articolo. sono entità seprate, non correlate. ovvero, sono correlate solo dal loro senso e dalla posizione nell'impaginato, ma non nel DB. Questo si intuisce facendo anche alcune ricerche in archivi dove si trovano articoli "senza titolo" non perche' questo non vi sia stato, ma perche' le euristiche che associano le due entità (prossimità spaziale nell'impaginato, dimensione relativa dei font) non raggiungono il livello di confidenza sufficiente per associarli in automatico (e magari sono pezzi margoinali e gli addetti al "post processing" dei contenuti non sono intervenuti)

Luca Giammattei

@Stefano veramente a me fino ad ora hanno raccontato che sono i volumi che si sono adattati alle necessita' di distribuzione fisica (cioe' per essere presente su 14k punti vendita, circa, devi uscirtene con tot copie, che ti servono anche a garantirti l'adeguata visibilita' in edicola, poi immagina un po' se ad un certo punto gli edicolanti si facesseo pagare il posizionamento sugli scaffali un po' come fanno le catene della GDO in termini di scontistica, ecc?)
Cmq, pensare di sostituire la distribuzione fisica con dei pdf inviati via email o via ip, credimi non sta in piedi (e parlo da consumatore al di la del cincischiare ), perche' se il sistema editoriale non e' pensato con le stesse logiche di un decente database di gestionale, non significa che sia possibile "restringere" il suo risultato quello che e' nato per essere letto su di un formato 50*70 in un A4 che in genere e' meno della meta'. Sono cose che tempo fa ho discusso anche con Tombolini, lui alla fine (alla luce delle sue esperienze personali) si era fatto persuaso che fosse impossibile ripensare il media quotidiano ed allora tanto valeva riproporlo paro paro, in digitale su device ipad like, io rimango invece persuaso che quella sarebbe una delle cause di morte di un certo tipo di editoria. Il punto non e' ripensare il media "quotidiano" ma come giustamente dici tu riflettere sull'aggregato che si presenta al pubblico

Stefano Quintarelli

@Luca: non ho capito la tua prima frase (volumi adattati alle necessità di distribuzione fisica) a cosa fa riferimento di cio' che ho detto e cosa ne falsifichi. mi spieghi, pls ?
non penso affatto che un editore decida di sostituire la carta con pdf. penso invece che una parte crescente degli utenti lo farà a prescindere dai desideri dell'editore e del distributore. penso che nella media del pollo, il basso costo distributivo a verona compensi l'elevato costo a campofontana. penso che quando occorrera' ridurre il costo distributivo, campofontana sara' il primo a saltare.

Stefano Bagnara

Io non ci prendo mai, ma non mi aspetto che il quotidiano, come lo conosciamo oggi, ci sarà ancora fra 15/20 anni.
Piuttosto mi immagino i pochi che non saranno passati ad una alternativa digitale fare un salto nel "media store" più vicino e farsene stampare una copia (a costi 5-6 volte superiori degli attuali).

Una ipotesi ottimistica potrebbe essere quella in cui al media store parlino con il commesso dicendogli che loro erano abituati a leggere corriere e repubblica e in particolare seguire la cronaca nera della zona e si interessano di giardinaggio e che non vogliono leggere più di 10 pagine al giorno e si trovano stampato l'aggregato personalizzato al volo, magari con gli articoli dei 2 quotidiani che parlano dello stesso argomento messi uno a fianco dell'altro e con le differenze evidenziate (ovviamente sempre da un software, non dal commesso!).

Ma il quotidiano di carta?? Provate a stare una mattina a guardare una edicola e contate quanti under 30 comprano un quotidiano. Pensate che saranno tanti i 30enni che oggi non ne comprano uno che inizieranno a farlo nei prossimi 20 anni?

Io anche se ne vedo uno sul tavolo non lo apro: le notizie sono vecchie di 7-8 ore come minimo, sempre più vecchie di quelle che ho letto sull'aggregatore appena sveglio. Oltre che sporcare le dita di nero è uno spreco di tempo.

Chi ci tiene ad essere informato valuta, a mio parere, la pluralità di sorgenti, la freschezza delle notizie, l'interattività e multimedialità che può offrire il digitale come un valore non riscontrabile dalla versione cartacea.
Chi invece lo considera un passatempo cambierà idea quando la versione cartacea diventerà troppo costosa o troppo difficile da trovare.

Quello che dice Stefano a proposito di Campofontana è già una realtà: Se siete frequentatori delle nostre montagne vi sarete già accorti come alcune edicole che 10 anni fa erano aperte tutto l'anno ora sono aperte solo in alta stagione e nei punti più turistici, altrimenti aprono una mezza giornata a settimana per la distribuzione dei mensili/settimanali, ma niente più quotidiani.

Certo uno si aspetterebbe anche che le versioni digitali fossero incentivate dallo stato e che la carta fosse tassata maggiormente di carta e inchiostro che sono sicuramente meno ecologici, ma ci sono soldoni da proteggere, talmente tanti che ci preoccupiamo che i negozi online non possano vendere a prezzi troppo vantaggiosi i libri! Un "cartello" forzato per legge, pensa te! E quindi chissà.. magari verrà vietato dare notizie su internet e si potrà darle solamente tramite carta stampata e con un piccolo decreto le nostre previsioni verranno stravolte, e sarò io che dovrò passare in edicola visto che l'aggregatore non potrà oltrepassare il grande firewall che taglia fuori i siti che fanno illegalmente informazione.

Pier Luca Santoro

Come promesso, ho pubblicato la seconda parte di analisi di scenario con specifico riferimento all'ambiente online/digitale. Spero possa coinvolgerti ed interessarti.
Ciao
Pier Luca

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