Il mio amico Simone (ubuntista) sa che io sono fortemente critico di coloro i quali dicono che, come regola generale, quando metti le tue applicazioni nel cloud, non sai dove stanno, che stanno qua e la.
Huffington Post è down per un uragano a New York. Una nuvoletta, quella che ospita l'Huff Post, ben localizzata (poi redistribuita dalle cache di akamai).
Alla fine, molte volte si parla di Cloud ed in realtà ciò che abbiamo è, come sempre, un buon vecchio dedicated hosting (l'italico housing) o uno shared hosting...
La distribuzione automatica in tempo quasi reale su più centri geograficamente diversi è estremamente più facile a dirsi che a farsi.
Sarebbe già cosa buona e giusta differenziare su server in più sale dati in palazzi diversi nell'ambito dello stesso campus. Questo è decisamente più facile e vien via con poco, dal punto di vista applicativo.
Fare realmente di più, è tosto, molto.
qui http://gigaom.com/cloud/why-amazon-customers-might-think-twice-about-going-east/ spiega bene come i data center di Amazon costa atlantica sono molto usati come Hosting e non come cloud e sono molto meno moderni come infrastruttura di quelli della costa ovest
Scritto da: gabriele | 30/10/2012 a 14:45
Se è lo stesso Simone che conosco io oltre ad essere ubuntista è anche "AWS evangelist" e per questo non vuole che gli altri usino impropriamente la parola Cloud quando si tratta di normale hosting. (E ha ragione anche secondo me... ma forse la criticità veniva più dal ruolo in amazon che da quello di fan di ubuntu...)
Scritto da: Stefano Bagnara | 30/10/2012 a 15:41
Stefano, hai ragione. La definizione di Cluod implica i dati distribuiti, geograficamente. Mentre invece si utilizza spesso e volentieri la definizione Cloud perchè fa moda, per ragioni prettamente commerciali. In una discussione tra addetti del settore, tra quali c'ero pure io, questa cosa si è fatta presente. Addirittura la cluod di Telecom, la nuvola italiana, non è gran chiaro se sia realmente distribuita geograficamente....
Scritto da: Gianni | 30/10/2012 a 17:28
Ra nuvola italiana è marketing. Ho visto un paio di presentazioni e hanno così tante offerte (contrastanti fra loro) che non si capisce realmente quanto possa essere efficace (probabilmente poco).
Riguardo al discorso in generale il problema dell'hosting spacciato come cloud accade perchè gli sviluppatori medi ignorano la materia e nessuno ha soldi/tempo da investire per crescere culturalmente verso un modello di programmazione diverso.
I tool ci sono e non è neanche difficile usarli è solo che la gente non li usa perché dovrebbe disegnare applicazioni da zero pensate per girare li. Poi c'è un secondo problema, non da poco, se disegni una applicazione utilizzando pesantemente le API di Amazon ti infili da solo nel peggior lock-in possibile.
Poco tempo fa ho conosciuto anche un'azienda che ha sviluppato uno strato di astrazione rispetto al provider (la loro applicazione ora può girare su cloud diversi), ha un costo elevatissimo e sono in pochissimi a poterselo permettere.
Scritto da: Enrico Signoretti | 31/10/2012 a 09:24
E' curioso notare come il simbolo della nuvoletta era nato per dire che non hai bisogno di sapere cosa c'è dentro e come funziona, fino al punto che una infrastruttura complessa poteva essere semplicemente "occultata" per concentrare l'attenzione su altri aspetti e tecnologie.
Viceversa, nella pratica, devi leggere con la lente contratti e SLA, pena il ritrovarsi in balia di gente che sembra avere la testa tra le nuvole e una incredibile capacità di scaricare barili.
Sicuramente ne vale la pena ma non è affatto semplice o divertente, almeno per chi preferibbe molto leggere il manuale di una CPU all'oscuro legalese dei contratti.
Però non direi che "Fare realmente di più, è tosto, molto.". E' più di mezzo secolo che si usano datacenter ed applicazioni distribuite geograficamente per questioni di bussiness continuity, le esperienze oramai sono fatte e le tecnologie sono rodate. Quello che è tosto è convincersi che bisogna andare nei dettagli anche per risolvere un'altra volta esattamente lo stesso problema che hanno tutti gli altri vicini di CPU.
Scritto da: Bubbo Bubboni | 31/10/2012 a 10:05
diciamo che quantomento dipende dalla tipologia di applicazioni.
se devi fare sistemi con repliche simmetriche asincrone, ad esempio, non e' affatto baanle..
Scritto da: Stefano Quintarelli | 31/10/2012 a 10:09
Non è banale, ma non sono problemi tecnici nuovi. Dopotutto quanti siti e servizi stanno continuando a funzionare anche se i datacenter sono a mollo e senza luce?
Invece mi pare nuovo, e ben più difficile, passare dalle competenze per l'acquisto e la vendita di beni a quelle per i servizi. Come già evidenziavi per l'acquisto di ebook, solo che qui è ancora più complicato.
Scritto da: Bubbo Bubboni | 31/10/2012 a 17:43
Mi trovo d'accordo con te. Se sviluppi una applicazione che si integra con la cloud di amazon poteebbe essere un matrimonio (quasi) indissolubile con Amazon.
E del resto questo è uno dei problemi nel sviluppare soluzioni cloud: non sono trasparenti con l'applicazione fatta per girare sugli hosting tradizionali, devi esporre delle tue api e quindi, oltre ai costi di realizzazione di una cloud, devi convincere anche gli sviluppatori a investire in tempo di sviluppo sulla tua soluzione.
Scritto da: Gianni | 31/10/2012 a 18:15