Il primo è se sia davvero giusto affidare ai gestori dei motori di ricerca una decisione tanto delicata e complessa come quella da assumere ogni qualvolta si tratta di decidere se sia prevalente l’interesse pubblico ad accedere ad un determinato contenuto o il diritto alla privacy del singolo a che nessuno possa accedere – almeno attraverso un motore di ricerca – ad un contenuto che lo riguarda addirittura se legittimamente pubblicato, magari, per scopi o finalità giornalistiche o, comunque, di informazione.
Il secondo riguarda i numeri.
Da domani i grandi motori di ricerca potrebbero essere letteralmente travolti da un’onda di richieste di rimozione di link contenuti nei risultati dei milioni di ricerche che restituiscono, ogni giorno, ai loro utenti.
Quelle – già tante – di rimozione dei video pubblicati su YouTube per questioni legate alla violazione del copyright, appaiono destinate a sembrare davvero poche a confronto.
Sono, infatti, certamente, migliaia ogni giorno le persone, solo in Italia, che preferirebbero che i grandi motori di ricerca non indicizzassero contenuti che li riguardano e che, a torto o a ragione, magari, reputano pubblicati in violazione della loro privacy, del loro onore o della loro reputazione.
Che succederà quando domani inizieranno a scrivere a Google, a Yahoo, a Bing ed agli altri grandi motori di ricerca per chiedere che facciano scomparire i propri dati personali dai risultati delle ricerche?
Chi e come deciderà il da farsi?
Si cancellerà tutto, per evitare sanzioni e condanne per illecito trattamento di dati personali da parte di Giudici ed Autorità?
via scorza.blogautore.espresso.repubblica.it
concordo con i commenti di Guido che ho espresso in una mailing list di adetti ai lavori.
non capisco come si possa attuare. forse escludendo di indicizzare qualunque cosa dove ci sia il nome di una persona...
mi pare proprio impraticabile.
mah!
La sentenza va letta senza pregiudizi e/o condizionamenti ideologici (mi rendo conto che per molti commentatori abituali, giuristi e non, ciò è oltremodo difficile a causa delle posizioni dottrinarie da essi seguite o intraprese nel corso degli anni); a mio modestissimo avviso essa, oltre ad essere condivisibile per la risoluzione del caso concreto (il ricorrente ha lamentato che il pignoramento era stato interamente definito da svariati anni e che la menzione dello stesso era ormai priva di qualsiasi rilevanza), si rivela assai lungimirante se si considera che essa pone dei ben precisi riferimenti valoristici (riproduttivi dell'attuale ZEITGEIST in materia di protezione dei dati personali dei cittadini europei e di giurisdizione degli Stati UE) in funzione della annunciata prossima riforma della direttiva 95/46/CE (che dovrebbe essere attuata, questa volta, con Regolamento comunitario). Spero vivamente di non aver urtato la suscettibilità di nessuno con questo mio breve commento; invito a riflettere con obiettività anche sugli enormi progressi della tecnica, intervenuti in questi ultimi anni, per la individuazione dei contenuti lesivi dei diritti della persona. Per quanto riguarda la questione dello "stabilimento" avevo espresso la mia opinione in questo commento http://blog.quintarelli.it/2011/01/guest-post-qualche-riflessione-sui-nuovi-regolamenti-dellagcom-prof-pollicino-univ-bocconi.html#comment-6a00d8341c55f253ef0148c756f365970c (mi pare che anche la CGUE sia del mio stesso avviso). Credo che, con il prossimo semestre europeo a guida italiana, l'Ufficio del Garante italiano abbia la possibilità di contraddistinguersi per l'elaborazione di nuove e più attuali linee-guida da suggerire per la redazione del testo definitivo della nuova normativa europea.
Scritto da: Eurolegal.it | 13/05/2014 a 23:01
Mi pare che la sentenza non faccia che affermare i basilari principi del Codice Privacy. Certo, difficile da applicare ma e' applicare regole di diritto ad internet facile non e' e il "cantiere" e' aperto (diritto d'autore, id digitale, ecc.). Google ha elaborato meccanismi molto raffinati di tutela dei contenuti online a seguito delle varie decisioni sulla materia e presumo che l'evoluzione della materia privacy dovra' vivere una evoluzione simile. Qualche proposta: la sentenza parla di eliminare il collegamento tra nome/dati personali ed un elenco di risultati di ricerca. Vedo dunque anzitutto che l'azione deve avvenire (come avviene per il diritto d'autore nel meccanismo DMCA) ad impulso della parte che chiede la tutela. Mi sembra inoltre che non sia di per se' illecito il mantenimento di una informazione notizia a seguito della "notice" ma solo il presentarla come risultato di ricerca della chiave costituita da un dato personale del quale si e' chiesta la rimozione. La tutela possibile mi pare cosi' quella di black list di termini di ricerca come certamente ne esistono gia' sui principali search engine. Se "Mario Rossi" non vuole essere cercato, ha in sostanza diritto a non essere cercato (o, meglio, presentato in associazione a certe informazioni).
Ricordo un caso di un imprenditore che si vide revocare tutti i crediti bancari perche' il primo risultato di ricerca era una notizia giudiziaria poi superata dalla chiusura delle indagini. La notizia era stata inclusa nei dossier sull'affidabilita' realizzati da una societa' di servizi... il fatto porto' al fallimento della sua societa'... il sito fonte della notizia era un sito pirata irreperibile che aveva copiato un vecchio articolo. Riuscimmo con molta difficolta' a far eliminare da Google il link. Dunque trovo utile e opportuna la decisione.
Scritto da: eugenio prosperetti | 18/05/2014 a 11:35