Vorrei consigliare al direttore del Corriere della Sera di leggere un libriccino appena edito da Adelphi, “Una Vita per Strada”, di Joseph Mitchell. Non vorrei apparire arrogante, magari Ferruccio De Bortoli legge il New Yorker fin da quando era al liceo e quindi sa bene di che cosa e di chi si parla, vale a dire del più straordinario cronista di strada di ogni tempo, un camminatore e osservatore maniacale che si fa scrittore della pelle e delle interiora di una città. New York appunto. Questo consiglio, che non contiene alcuna polemica, lo spiego fra un paragrafo o due. Prima c’è bisogno di uno sguardo ai giornali di ieri e dell’altro ieri.
E dunque il direttore del Corriere della Sera ci ha detto qualche giorno fa che ritiene i social “solo chiacchiericcio”, una nuvola di vuoto dove il prodotto giornalistico, cioè la notizia o l’analisi o il commento diventano altrettanti OGM, irriconoscibili e deformati dalla discussione. Ed ha aggiunto: “Mi chiedo quale possa essere il significato che gli storici possono dare a intere giornate a discutere del nulla”. Ha ragione, accade proprio questo. È proprio questo uno dei problemi che si pongono. È sul valore da annettere a questo nulla, se tale è, che discuterei.
Claudio Magris, sul giornale di De Bortoli, scriveva nella giornata di domenica che nei social siamo tutti narcisisti beoti in “adorazione di una eternità da cesso”. Anche qui, vero, non ho da contestare alcunché. Cesso, salotto, cucina, ombelico, coperta con gatti e cani, tovaglia con salmone marinato. Siamo tubi digerenti con le orecchie, fin dal giorno nel quale nostra madre ci mette al mondo, e il cervello dista poco da quel posto.
Non si può neanche dire che queste posizioni – quelle di De Bortoli e Magris – siano uniche e inedite. I maggiori concorrenti del Corriere, che conosco ancora meglio, sono ormai specializzati in una dannazione dei social e del loro ambiente umano, comunicativo, e prima ancora dei loro contenuti. Diciamo pure che assistiamo alla carica di un intero establishment contro i social visti come pericolo, fogna ecc ecc. Ma è tutta roba vecchia.
Perfino queste righe sono vecchie, perché anche la polemica contro la polemica è stantia, superata dai fatti, anzi da un fatto solo: che i social esistono e in forme che muteranno nel tempo sono qui per restare. E non è che servano, come hanno predicato i rivoluzionari da luna park, a creare una nuova democrazia e a far votare la gente anche sul colore dei capelli dell’usciere della Camera, il quarto a destra. No, la democrazia no, sta maluccio per conto suo, ma un nuovo mondo della comunicazione, sì, maledizione, quello proprio sì. E non saranno gli anatemi e le leggi, e le guerricciole commerciali contro Google, putiniane la loro parte, a fermare questo “fatto”.
Il problema, caro Ferruccio, è che i social “siamo noi”. Siamo noi dopo l’irruzione digitale delle masse nel discorso pubblico. Fanno schifo? Puzzano? E non ne ho alcun dubbio, ma è così, le masse puzzano, e servirà a poco produrre una vasta sociologia e critica apocalittica di questo fenomeni – appoggiandosi alle spalle di Bauman prima e di Zizek poi. Per quanto sia buono quel sapore apocalittico che si sente al fondo della tazza del caffè che quei due offrono ai loro lettori.
Il punto è che questo “schifo” è interamente nuovo e bisognerà capirlo bene. Studiandolo senza l’occhio velato dall’apocalisse. Perché l’apocalisse non ci sarà, per il semplice motivo che quello schifo è l'umanità.
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Bravo ZetaVu!
Il punto che De Bortoli is missing/failing to recollect è che l'irruzione del digitale nelle masse del discorso pubblico ha inizio con Gutenberg (e anche prima, con Theuth).
Schiferebbero anche la scrittura fosse essa l'inconcepibile, l'inenarrabile nuovo che avanza.
Scritto da: twitter.com/canablach | 24/11/2014 a 14:47