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25/04/2016

Commenti

Diego

E pensare che un fenomeno nuovo porti ad una nuova categoria?

mORA

È interessante coma la litania sia sempre la stessa: perché un business sia redditizio, la redditività va fatta a scapito dei diritti dei lavoratori.
Naturalmente a nessuno fotte nulla della concorrenza, che pure viene usata come piede di porco per scassinare i diritti: certo, la concorrenza è un bene per il consumatore, ma nessuno si è premurato di definire il consumatore da almeno cinquant'anni a questa parte.
Fingiamo ancora che il consumatore sia un'entità che esiste a prescindere, uno che "ha i soldi e li spende".
Da dove li prende 'sti soldi?
Bene, salvo qualche nobile decaduto che ancora ha roba da vendere e qualche business man, il consumatore è, nella gran parte dei casi, un lavoratore che guadagna quel che spende (buffi a parte, ma questa è un'altra storia) lavorando.
Ma se il consumatore in quanto lavoratore deve passare il tempo della veglia lavorando, magari limando la veglia perché improduttiva, finisce che non ha più modo e tempo per spendere.
Alla fine un business è redditizio nel breve se pesa sulla società nel medio-lungo.
Privatizzare gli utili collettivizzando i costi™.
Intanto creando sacche di povertà e degrado umano (e sì, per me uno che vive per lavorare e non ha nemmeno più tempo di spendere è un essere che vive nel degrado), e poi perché alla fine qui, si sta parlando di tassazione; che è lo strumento attraverso il quale, per dirla con Liz Warren ( http://www.ilpost.it/2015/03/25/elizabeth-warren/ ) il paese ti mette in condizione infrastrutturale di fare il tuo business.
E poi del motivo per cui uno esiste.
Al proposito consiglio sempre di rileggere Nickel and Dimed (Una paga da fame) di Barbara Ehrenreich ( http://www.amazon.it/fame-arriva-paese-ricco-mondo/dp/8807818019/ ).
Il che non significa che io sia contro al concorrenza, anzi.
Io sono a favore della concorrenza piena, quella basata sulle idee, non quella realizzata a scapito della collettività e del singolo come parte di essa.

Roby

D'accordo à 100% con Mora.

Eugenio

mAH..
io non vedo la creazione di nuove sacche di povertà e di degrado.. il discorso filerebbe liscio ma sembra partire da un presupposto sbagliato: prima si stava meglio.
i braccianti di oggi sono gli schiavi di ieri.. i cambiamenti spesso permettono (o agevolano) permeabilità tra le classi che un tempo erano impensabili e possono essere redditizi a breve (punto). La tendenza dell'umanità va verso un continuo miglioramento (anche tramite passi indietro) almeno fino all'autodistruzione totale.

attualmente la criticità maggiore è invece la crisi della classe media che per spendere quello che non ha si indebita con le mille forme di finanziamento e di credito al consumo: queste sì danno fiato a breve ma rischiano di impiccare a medio.

Bubbo Bubboni

Penso che su temi complessi sia utile vedere cosa fanno quelli bravi, ad esempio gli Stati.
Escludiamo pure gli stati corrotti, quelli falliti e quelli diversamente democratici.
Prendiamo quelli liberisti e ultraliberisti.

Vediamo un po' se gli Stati sono creativi o no nell'inquadramento del *proprio* personale, se si basano su varie forme per tenere la popolazione "diversamente occupata" oppure se usano il modello del posto a vita tipico di 70 anni fa.
Non sto a riportare esempi ma direi che quelli di Uber risultano per lo meno in linea e neanche troppo fantasiosi...

Passiamo al modello di business. Uber usa della tecnologia per un problema di logistica e allocazione risorse scarse.
L''effetto è... un miglior uso delle risorse (umane, ambientali, finanziarie).
Vediamo un po' se gli Stati dove si ha un incremento di produttività dovuto alla tecnologia applicata a temi intellettuali (cioè non il robot che solleva il motore con una sola mano) hanno avuto una forte perequazione e un forte aumento occupazionale nei settori oggetto dell'incremento di produttività (per fare che poi?) senza deprimere tutti gli altri (=se gioco ai videogames non costruisco più castelli da rompere).
Ovviamente no, l'incremento di produttività nel settore intellettuale non ha gli stessi effetti sociali e industriali dell'incremento di produttività nei settori antichi, come il primario e il secondario dove significa principalmente "riduzione di fatica fisica".
Anche qui vediamo un po' se gli Stati che hanno sostituito le macchine da scrivere meccaniche si sono poi riempiti di addetti che sanno formattare un .doc senza 'spazio-spazio-spazio' o se hanno prontamente "incassato" l'aumento di produttività.

E allora? Non vedo esempi in cui la tecnologia e l'innovazione del modello di business siano state finalizzate ad obiettivi ideali di altre epoche. Non da parte degli Stati liberisti, almeno. E quindi perché le imprese dovrebbero situarsi al di fuori di qualsiasi profilo di coerenza, operando in modi che gli Stati condannano apertamente nella loro organizzazione interna?

(Che fico il guest post! Ne farò anche io ma senza scomodare le tech-star :-)

Stefano Bagnara

Ma non basterebbe che il costo dei dipendenti fosse detraibile/deducibile in forma maggiore rispetto agli altri costi e che quindi le aziende potessero valutare la convenienza del lavoro dipendente rispetto all'esternalizzazione (di qualunque tipo)?

Purtroppo invece il lavoro dipendente per la maggiorparte delle aziende non è un vantaggio ma solo una palla al piede: se vuoi fare soldi rischiando poco fai l'intermediario e fai fare il lavoro a qualcun altro, così se poi non gli passi il lavoro è lui che si rimane sul groppone i dipendenti.

A mio parere se ci fosse una buona gestione fiscale ci sarebbe anche una rivalutazione del lavoro dipendente.
Se a UBER gli autisti fai-da-te costassero mediamente il doppio di uno dipendente magari avrebbe i suoi dipendenti, con i relativi diritti.

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